Quante emozioni può contenere una settimana di vacanza?

Da quando organizziamo Estate Paideia, tre settimane in cui alcune famiglie con bambini con disabilità vengono ospitate a rotazione in un villaggio accessibile in Toscana insieme ai volontari della Fondazione, abbiamo scoperto che possono essere tantissime!

Nella settimana centrale dei nostri soggiorni di quest’anno abbiamo avuto due inviati molto speciali: Enrica Tesio e Andrea Guermani. Enrica, che lavora con le parole, ha cercato di fermare alcuni attimi, raccontando ciò che si prova in sette giorni di mare, sole, giochi, condivisone e confronto; Andrea, che nella vita quotidiana fa il fotografo, ha catturato sorrisi, tuffi, disegni, momenti e sguardi, che delle sensazioni dell’Estate Paideia raccontano moltissimo.

Siete pronti a partire per un’estate emozionante senza spostarvi da dove siete proprio ora che state leggendo?

Buon viaggio, immergendovi nel diario di Enrica e Andrea.

Da tutti noi un grandissimo grazie a loro che hanno prestato cuore, occhi e parole a questa esperienza.

 

Giorno 1.

I miei figli e io non siamo un trio, siamo una terzina. Le terzine sono gruppi di note irregolari, con un andamento sincopato, come i nostri giorni, è sempre stato così. Siamo un’armonia di disaccordi. A volte penso che “Noi”, noi tre, sia semplicemente il plurale di “no”. Marta e Lorenzo sono sorprendenti nel loro costante incalzare di richieste, non desistono, anche se sanno che rifiuterai: chiedere è lecito, rispondere è cortesia. Infatti per le prime ottantacinque volte rispondo cortese, l’ottantaseiesima purtroppo mi sale l’Optimus Prime, il capo dei Trasformers e mi esce un No baritonale e metallico, a cui comunque sanno ancora ribattere con “Dai, mamma”. Come dire fin qui si è scherzato, era solo un assaggio, ma adesso si fa sul serio. Questo è ottimismo. Sono cavalli lanciati in due direzioni opposte e io in mezzo, un braccio uno e un braccio l’altro a stracciarmi l’anima in due. I romani, che erano gente pragmatica, la chiamavano tortura per smembramento, noi che siamo sognatori decadenti la chiamiamo maternità consapevole. Questa premessa è necessaria a spiegare quella leggera ansia che mi prende sempre prima di partire con loro, ma questa partenza è diversa, più emozionante. Ho deciso di coinvolgerli nella settimana organizzata dalla fondazione Paideia, verranno con me nel villaggio Pappasole, vicino a Follonica, insieme ad altre famiglie con figli disabili e a volontari di tutte le età, dagli under 19 agli over 50. Perché? Perché loro vedano un pezzo di mondo nelle vite degli altri. Forse è questa la differenza tra una vacanza e un viaggio. Sono certa che ci divertiremo, che mi stracceranno l’anima, ma che i giorni tutti insieme sapranno ricomporla.

 

Follonica. Giorno 2.

Ogni genitore che cammini su questa terra ha due pensieri fissi nei confronti del proprio figlio: andarsene da questa terra prima di lui e, fino a quando questo non accadrà, saperlo felice, nella misura in cui ci è concesso di esserlo. La disabilità sposta tutti i metri con cui un genitore misura la vita e la felicità e i metri diventano chilometri, spesso da percorrere in solitudine, anche il tempo passa a una velocità diversa. Le parole di uso comune cambiano sfumature di significato. Tipo “estate”. Ti è sempre piaciuta, ti piacevano i gavettoni sulla spiaggia, ti piaceva non avere orari, mangiare tardi che tanto siamo in vacanza, svegliarsi tardi che tanto siamo in vacanza, non pensare a nulla che tanto siamo in vacanza e tutto ma proprio tutto può aspettare. Ora la parola estate è insidiosa, perché vuol dire ignoto, vuol dire spostarsi dai territori conosciuti, dalla routine che è una conquista. La disabilità teme le sorprese, è un bagaglio pesantissimo in vacanza.

La disabilità non è contagiosa, ma è capillare, non riguarda mai l’individuo, ad essere disabile non è solo un bambino, per esempio, ma l’intera famiglia. È un pensiero banale, ma io non c’ero mai arrivata: il sostegno, per sostenere davvero, deve essere allargato alle madri, ai padri, ai fratelli, ai nonni.

C’è Lucia che è bella e ha la delicatezza degli animali feriti, sta guardinga, la sua vita ha a che fare col silenzio, di un figlio adolescente che fatica a raccontarsi per via di quell’età infame e di un altro che fatica ad esprimersi perché non sente dalla nascita. Mia sorride, più del necessario, per legittima difesa, sorride di stanchezza perché la sera Ivan per respirare deve stare attaccato a una macchina, il sonno gli può essere fatale, si chiama sindrome di Ondine. Rossella guarda il marito con un’intensità per me inconsueta, non hanno nemmeno bisogno di parole, si sanno, hanno tre ragazze, la più piccola ha due anni, occhi grandi e lentiggini, come la mamma, e un bambino, Daniele, la copia del papà. Daniele ha voluto vivere a dispetto di tutto, ho la sensazione che sia stato lui ad allacciare più stretto lo sguardo tra i suoi genitori.  La mia amica Valentina Tomirotti nel suo bel libro “un altro (d)anno” scrive che i disabili in Italia vengono raccontati in due soli modi: nell’accezione “oh poverino” oppure “oh che eroe!”. Si può estendere anche a chi ha un figlio disabile.

Ecco, credo che Lucia, Mia, Rossella, come tutti qui, disprezzino i pietismi, ma volentieri baratterebbero anche la mantellina e la S sulla maglietta, per del sano cazzeggio, una bevuta tra amici, un gavettone sulla spiaggia. La Fondazione Paideia, tra le altre cose, fa in modo che parole come estate e vacanza riacquistino il loro significato originario. Che i chilometri di fatica tornino ad essere metri, che il tempo scorra come per tutti. siamo al trentottesimo gavettone sulla spiaggia, alla terza bevuta e all’infinito cazzeggio. Ed è solo l’inizio.

 

 

Follonica. Giorno 3.

L’età maledetta, quella delle magliette in spiaggia, mai abbastanza lunghe per nasconderci dentro tutta l’inadeguatezza dei dodici anni. Quella delle prime delusioni amicali che anticipano le prime delusioni amorose, quella dove hai la sensazione di essere l’unica a non aver a disposizione le istruzioni di un gioco che diverte Tutti. Quella dove vorresti essere come Tutti, ma non sai come si fa. Guardo Giovanna con amore, scrivo di lei, mentre lei scrive di sua sorella più piccola, autistica. Vorrei dirle tanto, che il meglio deve ancora venire per esempio e che se arriverà il peggio sarà pronta ad affrontarlo. Vorrei dirle di lavorare il più possibile sulla spina dorsale e il meno possibile sulla corazza. La spina dorsale ci sostiene da dentro ed è fatta delle nostre passioni, dell’amore che ci nutre, del nucleo profondo che di determina. La corazza è un guscio, una difesa che tiene lontani i pericoli forse, ma che ci fa muovere male, goffi, che non fa sentire la vita sulla pelle. Vorrei dirle che, a differenza di quanto ci hanno insegnato le storie dei cavalieri, le corazze sono per chi non sa combattere.

 

Follonica. Giorno 4.

Dal diario di Giovanna, 12 anni:

“Pappasole è un posto bellissimo, anche se oggi il sole non si è visto. Il giorno dell’arrivo, dopo cinque ore di treno e di noia, mia sorella ha trovato subito uno spazio tutto suo, per giocare. Margherita ha sette anni, cinque in meno di me, parla molto meno di me, ma è sempre in movimento. Margherita è speciale in tanti modi: non si stanca, è libera, è autistica non verbale. I miei genitori si rilassano grazie ad Alexia che segue mia sorella. Io mi devo rilassare per forza perché sono stata operata da poco e non posso fare il bagno né in mare né in piscina. Riesco sempre a trovare qualcosa da fare con i volontari, anche solo a chiacchierare delle mie avventure e disavventure, dei sogni che faccio e dei sogni che non faccio e che tengo nel cassetto. Nel cassetto c’è il libro fantasy che sto scrivendo, parla di un gruppo di ragazzini speciali, “diversi”, sono re in un’altra dimensione parallela, ma nel nostro mondo non vengono capiti fino in fondo.
Mentre aspettiamo il sole, ora, qualcuno di noi sta seduto ad ascoltare la musica, Marta usa i volontari come pungiball, altri giocano a ping pong e fanno nuove amicizie. Io scrivo”.

 

Follonica. giorno 5.

I bambini la diversità la accettano, l’unico discrimine per i bimbi è la simpatia epidermica e questo prescinde dalla disabilità, dal colore, dalla nazionalità. Quel bambino mi è simpatico, quello no, punto. Quello che non accettano i bambini è l’ineluttabile. I miei figli faticano a capire che Daniele non camminerà mai o che Sofia non riuscirà a spiegarci cosa vede dal suo mondo. Marta cerca di rassicurarmi: “Ma sono piccoli, vedrai che impareranno”. No, non impereranno, non possono, ma possiamo imparare un pezzo in più noi, per capirli, per parlare anche senza parole. Si blatera tanto di buonismo come fosse la piaga del secolo, ma lo si scambia col buon senso. Occuparsi dell’altro è buon senso, perché è il modo più profondo per occuparsi di se stessi.

Abbracciare l’umanità, nostra e altrui. Abbracciare tutto quello che sarebbe potuto essere e non è stato. Abbracciare. Me lo dico da sola: abbraccia la possibilità che tu abbia avuto solo culo ad aver mantenuto la tua normalità intatta, fin qui. Che tu abbia avuto culo a nascere nel paese giusto e nel corpo giusto. In un paese che vive in pace e in un corpo che non conosce guerra. Abbraccia le persone che potevi essere e che non sei. Se abbracci la tua umanità, abbracci l’Umanità intera.

 

Follonica. Giorno 6.

Dal diario di Sara Norbiato, volontaria Fondazione Paideia, vent’anni:

“Quando sono salita sul treno per Follonica, non sapevo bene cosa aspettarmi da questo viaggio. Lo zaino mi pesava sulle spalle e nella valigia mi portavo dietro, insieme ai vestiti, una buona dose di insicurezza. Dopotutto, quello che sto vivendo non è solo il mio primo soggiorno estivo, ma anche la mia prima settimana trascorsa da sola, lontana dalla mia famiglia. Ma “sola” è una parola grossa. Da quando sono diventata volontaria, a settembre dell’anno scorso, e dal primo chilometro percorso con il treno, ho avuto la sensazione che non mi sarei mai sentita isolata.
Oggi è mercoledì e vorrei che il tempo si fermasse, e che questa settimana durasse in eterno. La sera sono stanca, sfinita, ma combatto il sonno pur di rimanere in compagnia degli altri volontari: quando chiacchiero e rido insieme a loro, ho l’impressione di conoscerli da sempre. Siamo tutti diversi: chi studia, chi lavora, chi è più timido, chi più estroverso. Quello che ci accomuna è la voglia di divertirsi e di divertire. Inutile dire che ora nella valigia l’insicurezza è sparita, devo far spazio per uno scatolone di bellissimi ricordi”.

 

Giorno 7.

Il mio amico Roberto Mercadini (che non saprei nemmeno come definire per quanto è bravo: cantastorie? divulgatore? boh) ha in repertorio un monologo che si intitola “Diversamente disabili” dove, tra le altre riflessioni, indaga come sia difficile parlare di disabilità a partire dal lessico scelto. Prima si usava handicappati, poi questa parola è sembrata offensiva e si è passati a portatori di handicap. Poi è sembrato offensivo anche quello, anche vagamente ridicolo dico io, perché questa disabilità da portare in giro, tipo al guinzaglio, fa subito “scendi l’handicap che lo piscio”. Ora si parla di disabili o diversamente abili.
Lorenzo è un bambino che si preoccupa molto di offendere, di dire male. Mi ha chiesto se potesse usare il termine “malattia” oppure “problema”, riferendosi ad alcuni dei suoi nuovi amici. Non ho saputo rispondere con esattezza, ma sono certa che l’unico modo per dire bene la diversità è ascoltarla, chiedere, con rispetto.
Ora che il soggiorno si è concluso, mi rendo conto che tutto ha avuto a che fare con l’ascolto, degli altri e di me stessa. Ho pensato anche alle mie disabilità, siamo tutti disabili emotivi, chi più chi meno, sarà per questo che si dice rabbia cieca, dolore sordo, tristezza muta, ansia paralizzante. Abbiamo il difficile compito di far camminare l’ansia, allontanarla; guardare la rabbia negli occhi, farsi guardare, per spegnerla; fare in modo che il dolore senta anche il bello, dare parola alla tristezza, lasciarla sfogare, farle spiegare le sue ragioni.
In questi giorni mi sono emozionata tanto, bene, con gioia. L’ultima sera, una sera di luna, ci siamo raccolti in cerchio, adulti e bambini, e ho letto qualche favola. In particolare, la storia di Pino Pace che racconta di una magica eclissi capace di trasformare una balena nella sua amica farfalla per farla volare fino al cielo e di mutare la farfalla in balena per nuotare nelle profondità marine. Spiega l’incredibile esperienza del mettersi nei panni degli altri e tornarne arricchiti, credo, anche se lo dovremmo chiedere a Pino Pace. Niente di miracoloso, dei miracoli non mi fido, ma delle piccole magie sì, anche se dovessero durare solo il tempo di un’eclissi. O di un’estate.

 

Dal diario di Giovanna, 12 anni:

“Abbiamo appena messo piede sulla carrozza e Alexia si è addormentata come un orso in letargo, altri mangiano, io invece sto cercando di abbandonare la noia. La mia mente continua a dirmi che ho lasciato alle spalle i giorni con Paideia, e il nonno di Greta, prima che me ne andassi, mi ha detto di non essere triste e di far finta che sarei tornata fra qualche anno. Cerco di convincermi che questa cosa sia vera ma non riesco. Nel profondo, so che quella settimana è sembrata durare un giorno e che quelle conversazioni sono sembrate piccole, ma nella loro piccolezza sono riuscite a segnarmi, perché si sa, anche le cose più piccole riescono a entrare nel tuo cuore. C’erano bambini che avevano avuto quella “fortuna” di poter camminare ed esprimersi, ed altri che non l’avevano avuta. Io invece, ho avuto quella sfiga che hanno in pochi, ovvero quella di essere operata e di non potermi divertire al completo. Potevo solo stare sul bordo dell’acqua del mare dove sembrava non esistessero confini ed aspettare che le onde mi sfiorassero i piedi come le carezze compassionevoli di una persona amata. Una parte dei bambini aveva avuto la fortuna di conoscere nuove persone diverse che vivevano nel loro piccolo mondo. Avevano avuto la fortuna di avere dei genitori altruisti e ben informati, che volevano trasmettere positività ai loro bambini. L’altra, invece, aveva avuto la fortuna di divertirsi senza avere delle barriere davanti a loro, correndo in una sedia a rotelle o correndo liberamente. Ora scrivo questi ricordi perché non ho un quadro dove dipingerli, un quadro che verrebbe colorato come un arcobaleno dopo una pioggia di tristezza o come un prato fiorito dopo il primo mese di primavera”.

 

Il giorno della festa il giardino era pieno di persone che ci volevano bene e questo era quello che desideravamo per i nostri bambini; una festa partecipata dove loro potessero aprire le porte di casa e accogliere i loro ospiti.

Comincia così il racconto di Cristina, educatrice di Casa Base Avigliana.

La comunità nasce come progetto realizzato in collaborazione tra la Fondazione Paideia e la Cooperativa Paradigma, per ospitare bambini che hanno subito maltrattamenti o abusi, con interventi che, quando possibile, coinvolgono tutta la famiglia.

Il 30 giugno Casa Base Avigliana ha compiuto 8 anni e ha festeggiato con la tradizionale festa, a cui ogni anno staff e volontari cercano di aggiungere un pizzico di novità.

“La preparazione della nostra festa richiede tantissimi mesi, per noi è un piccolo grande evento: si parte intorno a marzo/aprile con i primi incontri con i volontari per scegliere il tema e capire come coinvolgere le associazioni del territorio” ci spiega Cristina.

La comunicazione di un luogo protetto come Casa Base Avigliana è sempre un argomento delicato. “Ci teniamo, allo stesso tempo, che resti un luogo aperto alla comunità e che la comunità possa entrare a farne parte, specialmente in un giorno così importante e festoso per noi. Vogliamo che i bambini si sentano i padroni di casa, e quindi possano invitare i loro compagni di scuola, gli amici conosciuti durante le attività sportive o che i bimbi che hanno terminato il loro percorso da noi si sentano invitati a tornare a trovarci.”

Ogni anno la festa della comunità ha un tema diverso. “Quello di quest’anno” continua Cristina “è stato il gioco vivente, con tante proposte diverse. Il territorio ha risposto benissimo, partecipando con slancio alla festa e sostenendo la raccolta fondi che abbiamo attivato attraverso un contest fotografico benefico, che ci ha permesso di raccogliere 1.700,00 euro e contribuirà al sostegno dei  soggiorni estivi dei nostri bambini.

La festa ha infatti simbolicamente segnato anche la fine dell’anno scolastico e l’inizio dell’estate vera e propria.

Una stagione piuttosto vorticosa qui“ ride Cristina “oggi ci sono otto bimbi ospiti e per noi è importante che ognuno abbia l’opportunità di frequentare l’Estate Ragazzi, per poter vivere un tempo strutturato fuori da Casa Base Avigliana, farsi una rete nuova e personale di amicizie ed esperienze. Con gli educatori ci facciamo in quattro per recuperare tutti a fine giornata!

L’appoggio indispensabile su cui abbiamo la fortuna di poter contare – conclude Cristina – è quello dei volontari: abbiamo una squadra fantastica e produttiva, che crede moltissimo nel progetto. Hanno età ed esperienze differenti alle spalle e ognuno si dedica anche a un tipo di volontariato diverso: c’è chi segue la parte di raccolta fondi, chi viene a giocare con i bimbi, chi – anche con questo caldo! – sceglie di mettere a disposizione alcune ore per stirare, di modo che i bimbi possano sempre avere abiti ordinati con cui affrontare le loro giornate di nuove avventure!”

Tanti auguri Casa Base Avigliana!

Si terrà martedì 10 settembre al Circolo Golf Torino La Mandria la terza edizione della “ProAm Paideia”, gara di golf solidale a sostegno della Fondazione Paideia.

I fondi raccolti in occasione dell’evento, organizzato con il sostegno di PGA Italiana, saranno destinati per sostenere bambini e famiglie seguite al Centro Paideia, progetto inaugurato nel 2018 dalla Fondazione Paideia.

 

Il programma della giornata

Ore 11,00 Partenza shotgun

Ore 18,30 Aperitivo e premiazione

Ore 19,30 Cena e musica

 

Quote

Green Fee Soci Golf Torino 100 euro

Green Fee Soci esterni 130 euro

Cena per partecipanti alla ProAm 30 euro

Cena aperta agli amici 40 euro

 

Scarica la locandina dell’evento

 

Le iscrizioni sono aperte fino al 5 settembre, fino ad esaurimento posti.
Per partecipare alla “ProAm Paideia” rivolgersi a t.panizzolo@circologolftorino.it

 

Si ringraziano per il sostegno:

All’inizio è tutto difficile: è difficile capire chiaramente la situazione, è difficile sapere cosa fare. Poi, identificate le necessità, si passa ad altro, ed è in quel momento che abbiamo scoperto la famiglia Paideia.

Comincia così il racconto di Roberto, un papà che frequenta il Centro Paideia.

Dico la famiglia Paideia perché per me “essere in famiglia” è importante: è quella dimensione in cui ci si sente bene, tutti uguali, anche se ognuno è se stesso.

Proprio grazie all’esperienza dell’Estate Paideia abbiamo scoperto la tranquillità di stare noi quattro e il bello di sentirsi in famiglia; non avvertire la diversità tra noi e le altre famiglie che partecipavano alla vacanza, ma anche tra noi e lo staff della Fondazione. E questa sensazione è la stessa che abbiamo provato nelle domeniche di festa a Pralormo, nei laboratori… nelle occasioni di aggregazione che abbiamo frequentato sempre di più, con sempre più piacere. Ogni volta con Paideia abbiamo sperimentato momenti di condivisione e di vera normalità, anche per bimbi con qualche difficoltà in più.”

Dalla scorsa estate la Fondazione Paideia ha aperto a Torino il Centro Paideia: uno spazio che coniuga attività di accoglienza, sostegno e riabilitazione per famiglie con bambini con disabilità insieme ad attività sportive, corsi e laboratori rivolti a tutta la famiglia e a tutte le famiglie. Uno spazio dove sperimentare l’inclusione quotidiana, frequentando un corso di nuoto o un laboratorio di cucina, giocando nel parco giochi, prendendo un caffè in caffetteria, sfogliando un libro in biblioteca.

Il Centro Paideia è stato per molti anni un sogno, per tutti noi della Fondazione” spiega Mariangela Battisti, direttrice del Centro. “Era un luogo che immaginavano rivolto ai bimbi con difficoltà, ma anche aperto e coinvolgente verso la loro rete familiare, come è sempre stato il nostro sguardo. E nella nostra idea c’era qualsiasi tipo di nucleo familiare – non solo le famiglie che già ci conoscevano tramite la Fondazione o altre che speriamo di poter raggiungere tramite il Centro – ma tutti i cittadini. Adulti, bambini, gestanti e neogenitori: persone con vissuti diversi tra loro ed esigenze differenti che, scegliendo di frequentare il nostro Centro, lo rendono un luogo vivo, abitato e vissuto, sperimentando e testimoniando l’inclusione quotidiana.

Anche Roberto frequenta con assiduità il Centro Paideia, portando uno dei suoi bimbi a nuotare.

Da quando ha aperto il Centro Paideia è come se le occasioni d’incontro fossero diventate quotidiane: anche il Centro per noi è diventato famiglia, quella famiglia che ti ascolta e che c’è. Da papà ho scoperto, quando vado in piscina, tanti bimbi spettacolari, bimbi sempre con il sorriso nonostante si trovino talvolta ad affrontare situazioni molto sfidanti. Mi sono reso conto, nel confronto con altri genitori, che spesso sono proprio i nostri figli coloro che ci incoraggiano di più, e non viceversa, come si potrebbe pensare.”

Roberto al Centro Paideia ha seguito, inoltre, con uno dei suoi figli, anche il percorso rivolto ai siblings: “Mi sono reso conto di quanto sia importante dedicare le stesse attenzioni a entrambi i miei bambini, indipendentemente dalle loro difficoltà, anzi cercando di non identificarli con quelle.”

“L’apertura del Centro ha reso possibile dedicare nuovi spazi per l’accoglienza, il sostegno e la riabilitazione, ma anche nuove occasioni di incontro e confronto per le famiglie che già seguivamo. Nonostante una nuova complessità da gestire in termini di numeri e richieste, rispetto alla quale speriamo di poter rispondere sempre meglio, siamo molto felici della risposta che il quartiere e la città intera ha dato al Centro, facendoci sentire così ben accolti dal territorio” racconta Mariangela.

 “Guardo Giorgio qui – conclude Roberto – e mi piace vedere come si sente a suo agio: come ricerca la sua autonomia, da genitori è questo che incoraggiamo. È bello vedere un posto dove non esiste diversità se non quella in cui ognuno arricchisce l’altro con le risorse che ha.”

Buon primo compleanno, Centro Paideia!

 

Il 2018 è stato un anno importante, che ci ha visto spegnere le candeline dei nostri primi venticinque anni di attività!  Abbiamo festeggiato al Castello di Pralormo, che negli anni è stato cornice di tante domeniche festose e gioiose, con molte famiglie e i loro bambini.

Il desiderio di vivere sempre più esperienze di inclusione quotidiana è stata la spinta che ci ha continuamente motivato nel lavorare per realizzare un grande sogno, finalmente concretizzato lo scorso anno: l’apertura del Centro Paideia, avvenuta a giugno. Nel bilancio trovate uno scatto della festa d’inaugurazione, che ben rappresenta l’abbraccio con cui la città ci ha accolto e di cui siamo profondamente grati.

Quest’anno le famiglie a cui abbiamo potuto offrire sostegno sono state 520, di cui 361 seguite proprio con il progetto Centro Paideia, 53 partite per un vacanza all’interno di “Estate Paideia”, 22 beneficiarie di altri progetti realizzati in partnership con realtà diverse, 27 casi sono stati seguiti con Casa Base e 57 nel lavoro di affiancamento di Una famiglia per una famiglia.

La raccolta fondi, grazie alla quale siamo riusciti a realizzare tante delle nostre attività, quest’anno ci ha permesso di raccogliere 2.859.560 euro, grazie a un totale di 2.542 generosi donatori.

Il 2018 ha visto 112 nuovi volontari impegnarsi per la felicità dei bambini, portando a 361 il numero complessivo di chi sceglie di donare il proprio tempo alla Fondazione.

Nel bilancio, disponibile online, potrete trovare il racconto e l’analisi dettagliata del nostro operato annuale nelle due aree di intervento della Fondazione, “Disabilità e famiglia” e “Prevenzione e tutela”. Il nostro bilancio è un modo per condividere i passi avanti fatti ogni anno, ribadendo i valori che ci guidano: la competenza, la responsabilità, l’inclusione, la trasparenza e la passione.

Grazie a voi che ci leggete, sostenete, dedicate il vostro tempo, la vostra attenzione e le vostre risorse: per noi siete preziosissimi. Il nostro bilancio è ogni anno una nuova occasione per dirvi grazie!

 

Bilancio 2018 Fondazione Paideia – Il profilo

Bilancio 2018 Fondazione Paideia – Le aree di intervento

Bilancio 2018 Fondazione Paideia – Bilancio di esercizio

 

Operatori museali e disabilità è un progetto nato nel 2011 dalla collaborazione tra Fondazione CRT e Fondazione Paideia con l’obiettivo di incrementare le conoscenze e di implementare le competenze relazionali e professionali degli operatori al fine di favorire una cultura dell’inclusione e dell’accoglienza con particolare riguardo alle persone con disabilità.

Ad 8 anni dal suo avvio, il progetto giunge ad un’importante fase di diversificazione delle proprie attività, che – al di là delle proposte formative tradizionali (corsi di base, seminari e laboratori di approfondimento) – prevede la sperimentazione di un’esperienza a carattere laboratoriale per la costituzione di un team pilota finalizzato allo sviluppo di strumenti operativi e disegni organizzativi implementabili all’interno di realtà museali intenzionate a connotarsi in una prospettiva realmente inclusiva.

Attraverso una formazione “itinerante”, sia rispetto ai luoghi della formazione che ai tempi di svolgimento della stessa, i partecipanti avranno l’opportunità di approcciare con buone prassi del territorio torinese presentate mediante testimonianze esperienziali di operatori museali qualificati, di confrontarsi con il punto di vista delle persone con disabilità e i loro bisogni in un contesto di visita museale, di declinare in termini operativi i nuclei tematici a fondamento del corso di base del progetto “Operatori museali e disabilità”, di misurarsi con la propria capacità di elaborare project work che siano realmente implementabili nella realtà museale di appartenenza.

Tutto questo sarà realizzabile grazie alla competenza professionale di docenti selezionati che da anni si occupano di erogare i corsi del progetto “Operatori museali e disabilità”, alla consulenza di formatori esperti nel settore museale, al confronto con organizzazioni non profit che si occupano di disabilità. Verrà adottata una modalità didattica interattiva e dinamica, che farà del peer coaching lo strumento di lavoro privilegiato.

Il workshop, la cui partecipazione è totalmente gratuita, sarà strutturato in tre giornate:

 

La proposta si rivolge a tutti gli operatori museali che abbiano frequentato almeno il corso di base del progetto “Operatori museali e disabilità”. E’ possibile presentare la propria candidatura nel periodo compreso tra il 20 maggio e il 20 giugno 2019 attraverso il form dedicato che dovrà essere corredato di una lettera di appoggio a firma del Direttore del Museo di appartenenza (il modello della lettera, da inviare a formazione@fondazionepaideia.it per il perfezionamento dell’iscrizione, è scaricabile qui). Si richiede che la realtà museale di appartenenza abbia sede nella Regione Piemonte.

Entro il 30 giugno verrà dato esito della selezione delle candidature e della conseguente convocazione al kick-off meeting di avvio del progetto, che avrà luogo in giovedì 11 luglio 2019.

 

Per ulteriori informazioni è possibile scrivere a formazione@fondazionepaideia.it o telefonare al 346-2542719.

 

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