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C’è un volontario con una storia speciale, che ha scelto di condividere i valori di Paideia non soltanto offrendo parte del proprio tempo ma anche la sua professionalità. Andrea Guermani, fotografo nella vita di tutti i giorni, da più di dieci anni immortala i momenti più significativi delle attività dedicate ai bambini con disabilità e alle loro famiglie.
“Tutto è iniziato – racconta Andrea – con una mostra nel 2009, ‘Open to all’, un progetto che avevo coordinato coinvolgendo altri fotografi per interpretare in maniera libera il tema della disabilità e dell’inclusione, con una mostra in piazza. Da lì sono stato all’Estate Paideia, prima da solo e poi con mia moglie e i miei figli, come ‘famiglia risorsa’. Un’esperienza che si è ripetuta negli anni e che è sempre stata stupenda, qualcosa che ogni volta mi ha colpito per quanto possa aiutare a relativizzare i problemi di ogni giorno, anche grazie alla straordinaria energia di alcuni genitori che ho incontrato in queste occasioni.”
Come è nata la passione per la fotografia?
“Sono diventato esclusivamente fotografo dal 2000, dopo tre o quattro anni part-time. Ho studiato economia ed ero appassionatissimo di cinema, mi sarebbe piaciuto fare il regista, già da ragazzino facevo le candid camera con gli amici. Poi mi sono comprato una macchina fotografica ed è venuto fuori che in vacanza le mie foto erano più belle di altre. Il papà di una mia amica era un fotografo, mi imbucavo a casa sua e parlavamo di cinema e di fotografia: è stato come un secondo papà per me. Certo, mio padre era la parte razionale che ringrazio ci sia stata, adesso ho un’attività imprenditoriale grazie ai miei studi di economia, il fatto di aver lavorato due anni in azienda mi ha aiutato nel mio lavoro. Questo secondo padre ha stimolato la mia anima creativa. Quando mi sono licenziato mia madre era disperata, avevo un indeterminato, ho venduto la macchina per comprare un hard disk da dieci giga, che all’epoca costava dieci milioni! Poi ho vinto un bando per fare un libro per la Lavazza e sono riuscito a ritagliarmi uno spazio, anche grazie alla mia capacità relazionale. Chi mi conosce lo sa, mi piace scherzare con tutti.”
C’è qualche incontro che ti ha emozionato più di altri, in questi anni?
“Sicuramente ho incontrato delle persone carismatiche. Penso ai Presidenti, ho avuto la fortuna di fotografare Ciampi, Napolitano, Mattarella. Quando in sala entra una persona carismatica, lo senti. Sono persone che hanno capacità di attirare l’attenzione. Una persona che mi è piaciuta molto per il suo lato umano è Daniel Pennac, all’epoca del Premio Grinzane Cavour. Dovevo fare le foto agli scrittori, faccio due ritratti a Pennac e a un certo punto lui mi dice ‘Beviti un bicchiere con me e facciamo quattro chiacchiere.’ Così mi racconta ‘sono appassionato di fotografia, ho fatto un libro con Doisneau’, quello ‘del bacio’, per intenderci. Io gli rispondo umilmente che sono solo un ‘povero scattino’, ma lui mi risponde ‘hai la stessa dignità, lui ha trovato la sua strada, ma tu sei fotografo quanto lui’. Ecco, non mi sono emozionato perché ho conosciuto Pennac, ma mi ha emozionato la sua umanità.”
Tra i tanti ricordi di questi anni con Paideia, alcuni sono davvero indelebili. “Ricordo con particolare emozione le foto a Samuele sul pianoforte di Allevi al Regio, in cui faticavo a scattare per le lacrime. Samu era sdraiato sul piano, sentiva le vibrazioni e urlava per la gioia, mentre lui suonava. Alla fine l’ha abbracciato, è stata una cosa pazzesca, piangevamo tutti. Ma ricordo anche una foto a Micol a cui sono particolarmente affezionato perché rappresenta la gioia, esposta poi in piazza per la mostra, così come gli scatti del progetto ‘Il paese che sono io’ in cui abbiamo chiesto ai bambini di farsi ritrarre mentre erano impegnati a fare ciò che più amano.”
“Mi fa piacere che possano diventare immagini significative, ma è una questione di cuore: l’energia di Paideia fa diventare fortissime situazioni che altrimenti potrebbero essere normali. E nella fotografia, se ci metti il cuore, si vede la differenza.”