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È di recente terminato al Centro Paideia il percorso “disabilità e famiglia”, un ciclo di serate in cui confrontarsi tra genitori, parlare liberamente e anche solo sedersi e ascoltare, se è quello che ci fa sentire meglio. Due operatrici della Fondazione Paideia propongono un argomento diverso, di volta in volta, su cui soffermarsi insieme.
“Nel primo incontro, ad esempio, ci hanno chiesto di paragonarci a un oggetto che ci rappresentasse – comincia a raccontare Gloria, una mamma – ed è stato un bel modo di rompere il ghiaccio: senza che ce ne accorgessimo il tempo è volato.
Quando ti affacci a un certo tipo di percorso – ci spiega – il bagaglio con cui arrivi è quello della chiusura: appena scopri la disabilità tendi a fare terra bruciata intorno, hai delle emozioni dentro che devi prima superare tu. Ti domandi: come lo dico agli altri? Come reagiranno? Cosa penseranno di me? Ti senti solo senza poterti confrontare con qualcuno che ti capisca.”
Entrare in gruppo può significare mettere in comune le stesse paure e incertezze, ma anche raccogliere il valore dell’incontro. “Senti la forza dell’altro e ne prendi anche tu come se fosse una fonte, arrivi a casa e non ti senti più così sola. Non pensi più unicamente ai tuoi problemi e questo ti aiuta: la solitudine, anche nel problema, ti porta a ingigantirlo. Vedere la forza degli altri, invece, ti aiuta ad essere più serena.
Io non ho parlato subito – precisa Gloria – anzi, ora magari sembra che io riesca a raccontare con facilità tutta l’esperienza, ma la verità è che ho detto qualcosa solo negli ultimi incontri, ed è andata bene così. È un sollievo partecipare al percorso, anche se non sei pronto a parlare. Io avevo proprio il desiderio, ogni volta, di venire a sentire le storie degli altri. È utile anche da un punto di vista pratico: scopri cose che qualcun altro ha fatto in un certo momento che tu non conoscevi e, a tua volta, tu puoi essere d’aiuto dando un’informazione che magari hai sperimentato per prima. Ti rendi davvero conto che la condivisione è fondamentale, su tanti piani diversi.
Un momento per me molto interessante – ricorda Gloria – è stato quando abbiamo riflettuto su chi chiameremmo nel caso avessimo bisogno di aiuto: mi sono resa conto che non ci sofferma mai a mettere le cose su carta e invece fa bene farlo, porta a una presa di coscienza. Ti accorgi che la nostra vita quotidiana non è altro che correre, correre, correre. Invece ogni tanto bisogna fermarsi e guardare bene le cose, fare attenzione ai momenti.”
È un discorso che vale anche per la coppia. “Quando si è genitori di un bambino disabile si tende ad annullarsi come coppia e invece un percorso del genere, frequentato insieme, rafforza l’unione. Senti i pensieri di tuo marito, degli altri mariti: capisci cosa si è provato esattamente in un particolare momento. Mettersi a nudo è una cosa che riesce meglio con persone che non conosci, forse, e che si riesce a fare bene qui grazie al moderatore, ma soprattutto grazie al fatto che sappiamo di essere tutti qui per un motivo condiviso. Spero riusciremo a restare in contatto, con qualche messaggio o email, per scambiarci auguri e suggerimenti: frequentare questi incontri ci ha fatto bene e voglio portare queste sensazioni anche nella mia vita quotidiana.
Mi accorgo – conclude Gloria – che mi è venuta la voglia di non nascondere più nulla: alla fine vergognarsi e chiudersi è assurdo! Ma subito non lo capisci. Anche sui social prima mi dicevo di non seguire determinati gruppi per non dare visibilità al mio problema, ora quello che posso fare per me, lo faccio. Scavare dentro la propria interiorità è importante: mi sono seduta al primo incontro con un senso di colpa dentro di me e invece ho capito che non solo non ho colpa – nessuno ne ha -, ma siamo in tanti a combattere la stessa battaglia – ognuno un po’ diversa, ma anche con tante emozioni e difficoltà simili – e ce la possiamo fare. Ce la posso fare.”