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Inclusione scolastica: l’incontro con la fragilità è arricchimento
Fabrizio Serra, Segretario Generale della Fondazione Paideia, è intervenuto su “Animazione Sociale”  (www.animazionesociale.it) con un contributo pubblicato in seguito all’articolo uscito sul Corriere della Sera a firma di Ernesto Galli della Loggia sul tema dell’inclusione scolastica.
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Quando si lavora quotidianamente a fianco dei bambini con disabilità o fragilità e si parla di inclusione scolastica, spesso ci si concentra sulla difficoltà nel trasformare i principi in azioni o sulle criticità che caratterizzano il sistema, ma si danno per scontati gli elementi fondanti che rappresentano, a tutti gli effetti, una conquista per la collettività, un valore condiviso.

Poi, una mattina del 2024, sfogliando uno dei principali quotidiani nazionali, si scopre che così non è. L’inclusione sociale applicata al sistema scolastico viene raccontata come “mito dell’inclusione” che prevede la convivenza, “accanto a ragazzi cosiddetti normali”, di “ragazzi disabili anche gravi con il loro insegnante di sostegno”, oltre a “ragazzi con i Bes” e “ragazzi stranieri incapaci di spiccicare una parola d’italiano”.

Le parole di Ernesto Galli della Loggia hanno ferito molte persone (penso, in particolare, ad alcuni genitori di bambini e bambine con disabilità che credono, giustamente, nel valore di una scuola inclusiva), hanno indignato insegnanti e operatori, ma soprattutto rappresentano un segnale di allarme per tutti noi: dobbiamo rilevare che in questo periodo storico sono in discussione alcuni principi fondamentali sanciti anche dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità?

La visione proposta nello scritto è cruda nella sua superficialità: è l’eco di qualcosa che credevamo dimenticato e che ammicca, senza citarla, a un’alternativa che abbiamo disconosciuto cinquant’anni fa con l’abbandono delle “scuole speciali”. Quando Galli della Loggia afferma che gli insegnanti di sostegno sono “perlopiù a digiuno di ogni nozione circa la loro disabilità” sottintende forse che non ci sono sufficienti insegnanti di sostegno preparati per garantire il principio dell’inserimento dei bambini con disabilità a scuola? Non andrebbe invece sottolineato che lo Stato deve farsi carico del diritto allo studio di tutti gli studenti e quindi, di conseguenza, formare adeguatamente il personale per rispondere ai bisogni di tutti? Se lo pensa, purtroppo, non lo scrive.

"La scuola inclusiva, per quel che ne sappiamo, è un ecosistema complesso"

Proviamo quindi, nel rispetto di quanto affermato dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, a spostare il focus sulla persona. Questo include tutti gli aspetti: fragilità, disabilità, origine straniera. Parliamo di persone che frequentano la scuola e hanno il diritto di usufruire di un contesto adeguato. Poi ci sono le differenze, le difficoltà, gli imprevisti che – lo diceva già don Milani – ci arricchiscono e ci fanno crescere. Senza considerare che l’adozione di accorgimenti specifici pensati per il bambino o la bambina con disabilità possono poi risultare utili per la crescita di tutti i bambini.

Vorrei essere chiaro su un punto: la scuola inclusiva, per quel che ne sappiamo, è un ecosistema complesso. E presenta delle criticità che sono sotto gli occhi di tutti quelli che vi operano: immagino che sia stato questo il punto di partenza della riflessione di Galli della Loggia, poi sfociata nelle frettolose e infelici conclusioni che conosciamo.

"Per il 77% delle famiglie italiane in cui non è presente un figlio con disabilità, la presenza di bambini con disabilità condiziona positivamente le attività scolastiche"

Il tema della scuola è stato tra gli ambiti che abbiamo indagato, insieme a BVA-Doxa, nell’indagine “L’impatto della disabilità sul sistema familiare”, realizzata a settembre 2023 con il coinvolgimento di un migliaio di famiglie italiane con bambini e ragazzi fino a 18 anni di età, di cui un terzo con disabilità. L’indagine, ove possibile, ha posto a confronto le evidenze provenienti dai due campioni: famiglie in cui è presente o famiglie in cui non è presente un bambino o ragazzo con disabilità.

In base ai risultati emersi dall’indagine, per quasi 1 genitore su 3 di bambini con disabilità la scuola aiuta “poco” (26%) o “per nulla” (5%) il figlio a sviluppare una maggiore autonomia, mentre il 26% dei genitori di bambini con disabilità ritiene che la scuola aiuti “poco” (21%) o “per nulla” (5%) nella socializzazione.

Alla domanda “Quali pensa che siano le priorità per favorire la partecipazione attiva dei bambini con disabilità a scuola?”, il 43% dei genitori di bambini con disabilità ha segnalato la “formazione specializzata per gli insegnanti di sostegno”, prima voce anche per madri e padri di bambini che non hanno disabilità (30%). Al secondo posto per le famiglie che non hanno figli con disabilità è stata citata l’accessibilità (23%), che si colloca però all’ultimo posto per i genitori dei bambini con disabilità (9%), che valutano come più importanti, invece, le “ore garantite di sostegno” (22%) e la “continuità degli insegnanti nel ciclo scolastico” (17%).

Il dato forse più interessante, però, riguarda il condizionamento (positivo o negativo) legato alla presenza di bambini con disabilità nel gruppo classe: secondo i risultati dell’indagine per il 77% delle famiglie italiane in cui non è presente un figlio con disabilità, la presenza di bambini con disabilità condiziona positivamente le attività scolastiche, perché favorisce nuove forme di apprendimento (51%) o migliora il clima in classe (26%). Per il 14% la presenza di bambini con disabilità non condiziona in alcun modo le attività scolastiche (dato che si attesta al 7% per i genitori di bambini con disabilità), mentre secondo il 9% delle famiglie che non hanno figli con disabilità condiziona negativamente le attività perché rende faticoso il clima in classe (5%) o rallenta la didattica (4%), una voce che si ferma al 2% per quanto riguarda il Nord Ovest e che raggiunge l’11% per Sud e isole.

Inclusione scolastica: l’incontro con la fragilità è arricchimento

I punti cruciali emersi, quindi, riguardano in particolare la formazione specializzata, le ore garantite e la continuità degli insegnanti di sostegno, sfide dell’attualità per tantissime famiglie. Non si tratta quindi di negare che esistano delle criticità nel sistema di inclusione scolastica, quanto di credere e sostenere il principio di una scuola che guardi ai bisogni di tutti e chiedersi come poter fare la propria parte per migliorare la situazione esistente, senza agitare lo spettro delle scuole differenziate.

È vero che ci sono degli insegnanti non formati che vengono comunque inseriti come prima esperienza su situazioni molto complesse e in alcune occasioni lasciate soli, così come ci sono insegnanti che dedicano in autonomia risorse per formarsi e per poter essere il più possibile d’aiuto per i bambini e le bambine che seguono ogni giorno. Questa è una questione di rilievo: in quanti casi l’iniziativa risulta in carico ai singoli docenti, anche in ambito formativo, e quante volte pesa l’assenza di figure di supporto come pedagogisti o psicologi? La solitudine di chi si confronta con gli alunni con disabilità è un fatto riconosciuto, una fatica gravosa. Ricordo ancora il caso di una docente che raccontava dei regali di fine anno differenziati: una grande pianta per le insegnanti “di classe”, un piccolo cactus per l’insegnante di sostegno. Un esempio simbolico che farebbe quasi sorridere, se non venisse da piangere: finché l’insegnante di sostegno è qualcuno che lavora “a parte” dal contesto di classe, l’insegnante “di quel bambino” e basta, dove quel bambino è un “+1” rispetto agli altri alunni (vi è mai capitato di sentire insegnanti che dicono “nella classe ho 20 alunni + 1”?) sarà più difficile costruire una scuola realmente attenta e inclusiva.

L’ultima proposta, in questo senso, è quella della cattedra mista, con parte dell’orario di servizio curriculare e parte sul posto di sostegno, ma anche rispetto a questo non mancano le voci critiche, perché per qualcuno questo rappresenta uno stratagemma per risparmiare sugli organici invece di specializzare i docenti di sostegno per raggiungere un numero adeguato.

I genitori dei bambini con disabilità, che sono un osservatorio per noi preziosissimo, ci raccontano di un sistema che fa fatica a funzionare come dovrebbe, anche su questioni molto pratiche e quotidiane (l’accesso alla palestra, la gestione di una merenda, per fare due esempi molto banali), con una percezione di essere “fortunati” se le cose funzionano. E con una convinzione diffusa alla base: se da genitore desidero che vengano tutelati i diritti di mio figlio a scuola, dovrò lottare, dovrò “alzare la voce”. C’è quindi un divario da colmare: se il funzionamento di un sistema non è percepito come normalità ma come “fortuna”, se per ottenere il rispetto del diritto allo studio di mio figlio devo pormi in una posizione “da combattimento”, è ovvio che ci sono ancora dei passi in avanti da compiere.

Nonostante questa fatica quotidiana, lo dico in particolare pensando alle parole di Galli della Loggia, da parte dei genitori c’è una fiducia, un desiderio enorme che questa scuola – la scuola inclusiva – sia il posto giusto per il loro bambino o la loro bambina, dove possa stare bene insieme agli altri. Perché è il primo passo per stare nel mondo. E il mondo, come mi ha detto il papà di un ragazzo con disabilità, è di tutti.

"Si tratta di imparare a stare nella complessità"

La scuola è un ecosistema complesso, dicevamo. E si tratta di imparare a stare nella complessità, a partire dalle metodologie didattiche impiegate: penso a tutti quegli esempi virtuosi dove la lezione frontale lascia spazio a un’organizzazione che consenta la partecipazione alla giornata scolastica di tutti i bambini e le bambine. E a tutte quelle contaminazioni tra insegnanti, quelle alleanze positive che non sono fantascienza, ma realtà quotidiana in alcuni contesti (a dispetto della rigidità di un sistema che fatica a cambiare), per provare a offrire a ciascun alunno quello di cui ha bisogno.

A questo proposito vale la pena di fare una riflessione su quanto le riforme degli ultimi anni abbiano portato alla costruzione di un impianto che mira a formare persone che hanno delle competenze – alla fine del percorso gli studenti hanno padronanza di materie scientifiche, inglese, informatica – ma viene a perdersi il senso di una scuola della comunità. In questo tipo di prospettiva l’inserimento dei ragazzi e delle ragazze con disabilità risulta più faticoso, perché quel tipo di standard è difficile da raggiungere e rischia di far sentire loro – e con essi le loro famiglie – inadeguati. Si parla sempre di più di soft skills e di quelle capacità (empatia, capacità di lavoro di squadra, ecc.) che poi verranno richieste alle persone nel mondo del lavoro, ma quanto di questo trova poi spazio nella valutazione, compresa quella del docente o dell’istituto stesso?

"La scuola deve essere dalla parte dei fragili, con l'idea che la fragilità è una ricchezza e non un impoverimento"

Una percentuale di genitori, rilevata anche dall’indagine svolta con BVA-Doxa, cita il tema del “rendere faticoso il clima in classe” o il “rallentare la didattica” legato alla presenza di bambini con disabilità. Mi verrebbe da dire che se mi muovo sul piano delle competenze didattiche può esserci anche una velocità ridotta, ma quanto si apprende rispetto alla capacità di stare in sistemi relazionali complicati? Si tratta di una questione politica: il mondo reale è fatto di persone di origine straniera, di persone con disabilità e persone fragili. Puoi scegliere di frequentare una scuola “protetta”, dove non fare esperienza di vita vera salvo poi confrontarti con il mondo successivamente, ma la scuola deve essere dalla parte dei fragili, con l’idea che la fragilità è una ricchezza e non un impoverimento.

Per questo ci crediamo e ci crederemo, senza dire che è tutto bello o tutto facile, ma consapevoli che la valorizzazione della diversità considerata come un valore aggiunto e non come un ostacolo è fondamentale per creare un ambiente educativo che prepari gli studenti per essere cittadini di una società inclusiva e rispettosa di tutti coloro che vi abitano.

 

Fabrizio Serra
Segretario Generale
Fondazione Paideia