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Antonio Pinna racconta “La cura ai tempi del Covid-19”: “insopportabili sofferenze dei bambini più fragili”

“La cura ai tempi del COVID-19 – Prendersi cura dei più fragili” (Maggioli Editore) è il libro scritto da Antonio Pinna per raccontare l’impatto dell’emergenza sanitaria sulle persone più fragili – anziani e persone con disabilità in primis – ma anche sui caregiver familiari. Pinna, 71 anni, dirigente scolastico in pensione e giornalista pubblicista, è alla seconda pubblicazione dopo “Il mio viaggio nella SLA (Cuec, 2018). Abbiamo chiesto all’autore di raccontarci meglio il suo lavoro, sicuramente utile come spunto di riflessione in questa fase della pandemia.

Il suo libro parte dall’impatto che il Covid ha avuto sull’Italia al momento dell’esplosione dell’emergenza sanitaria. Quale è stato questo impatto per le persone con disabilità, in particolare per i bambini con disabilità e le loro famiglie?

Ho dedicato un intero capitolo a questo tema: il venir meno delle visite mediche a domicilio, la chiusura dei centri diurni per disabili, hanno messo a dura prova la resilienza delle famiglie. Lo “stare a casa” del primo lockdown ha provocato insopportabili sofferenze dei bambini più fragili, bisognosi di indispensabili “boccate d’aria”, passeggiate nelle aree verdi, nei giardini pubblici. Attraverso una minuziosa ricerca sui quotidiani e sulle riviste cartacee ho raccontato le insopportabili privazioni delle “chiusure”, in una prima fase, nei propri domicili dei più piccoli con disturbi nella sfera relazionale, quando non era assicurato a tutti e in tutto in territorio nazionale questo diritto in relazione ad un vero e proprio stato di necessità. In questo contesto è stato prezioso il contributo delle associazioni di volontariato e delle onlus, pur nei limiti dei divieti stabiliti per la protezione della salute pubblica.

Ci sono degli spaccati, delle storie, nel suo libro, di grande generosità. Penso a quei malati che hanno rinunciato al loro respiratore in un momento particolarmente critico. Forse presi dall’idea che saremmo diventati migliori ci siamo persi qualche storia che già raccontava un qualcosa di straordinario in quel presente?

Il nostro è un Paese particolare, quando (succede spesso) gli interventi degli enti pubblici sono carenti ed inefficaci, sono le organizzazioni del volontariato e del Terzo Settore e i singoli che cercano di sopperire alla distanza dello Stato, delle Regioni e dei Comuni. Nello specifico posso dire nel contatto personale e “a distanza” ho conosciuto storie di persone malate con grandi generosità. I pazienti, anche non autosufficienti, spesso hanno imparato e praticato la lezione della solidarietà. In fondo molti disabili sanno “mettersi nei panni degli altri”. E’ questo il monito di civiltà che dovremmo aver tutti imparato. Purtroppo vari episodi, anche di massa di questi giorni, ci dimostrano che “non siamo usciti migliori”. Definire “eroici” certi gesti significa elevarli a comportamenti eccezionali, di fronte ai quali magari spendiamo qualche lacrimuccia davanti alla tv, ma poi riprendiamo ad essere narcisisti, individualisti, anche mugugnanti rispetto a mancanza di beni superflui, schiavi del consumismo imperante da decenni.

Lei si sofferma ampiamente sui caregiver. Come si sente di descrivere la situazione attuale per i familiari delle persone con disabilità?

Mi spiace constatare che il dibattito pubblico rivela una scarsa, se non distorta, conoscenza del tema. Qualcuno ha criticato l’uso del termine “caregiver”. Più precisamente chi rifiuta l’uso di questo termine manifesta una notevole ignoranza del problema. Proporre la sostituzione del termine inglese con la parola “assistente familiare”, come ha fatto anche l’Accademia della Crusca, tace sul fatto che quest’ultimo, anche nel linguaggio burocratico (INPS), equivale a badante. Ora il caregiver familiare è invece uan figura più complessa. E’ un portatore di cure, di sostegno fattivo: segue la sommistrazione dei farmaci, controlla e annota la reazione dei pazienti nelle terapie seguite, interloquisce con infermieri e medici, si occupa delle pratiche per ottenere gli ausili, insieme alla tenuta dei conti, delle spese da sostenere per l’assistenza. Aggiungo che è un motivatore ed un coordinatore del lavoro delle persone impegnate nell’assistenza; familiari, amici e badanti. Gli oneri assistenziali, gli impegni dei caregiver sono più complessi di quello delle assistenti familiari, delle badanti. Il sostegno degli enti pubblici a queste persone è insufficiente. Fa eccezione l’Emilia Romagna. E’ vergognoso il ritardo dell’approvazione della legge nazionale sui caregiver, peraltro carente. Gli interventi di sostegno a questi familiari dei pazienti restano in carico alle Regioni.

Quali bisogni intravede oggi, a più di un anno dall’inizio dell’emergenza, per le persone con disabilità e per i loro familiari?

Il rapporto, di fine anno scorso, sulla condizione degli anziani non autosufficienti 2020/2021 definisce la situazione sui servizi ai pazienti non autonomi un “punto di non ritorno”. In qualche Regione l’assistenza domiciliare viene appaltata a società private, anche poco qualificate. Purtroppo la pandemia ha fatto mancare visite controlli, assistenza e terapie continuative a molte persone malate, soprattutto malati cronici. L’ammontare dei singoli assegni di cura a pazienti con malattie neurodegenerative negli ultimi sei anni è stato drasticamente ridotto. Il mondo della disabilità e della non autosufficienza, molto complesso per numero e tipo di pazienti, è frantumato. La politica dell’assistenza sociale per i disabili è legata, in questa fase, ad assegni e bonus gestiti dalle Regioni. La situazione è pessima da anni in alcune Regioni meridionali, con ritardi inammissibili di erogazioni di sussidi. La situazione socio-sanitaria in Italia progressivamente peggiora. Ora si parla del PNRR, i fondi europei del New Generation Eu, come un punto di svolta. Bisogna essere molto prudenti: il passaggio dalle parole (anche nei titoli di alcuni quotidiani e servizi tv) ai fatti, ai risultati è molto complesso.