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La nostra Ucraina, con i bambini e le mamme in fuga dalla guerra

La prima cosa che noti quando arrivi a Przemyśl è che molti bambini indossano i pantaloni da sci, anche se non c’è neve. Le mamme hanno messo loro i vestiti più pesanti che avevano, per fronteggiare il gelo che a marzo porta la temperatura ancora sottozero. Qui, a pochi chilometri dal confine tra Polonia e Ucraina, un centro commerciale è stato convertito nell’Humanitarian Aid Centre, che ospita migliaia di profughi in attesa di partire per nuove destinazioni. Si può trovare una brandina per riposare, un pasto caldo, dei vestiti, grazie all’incessante lavoro dei volontari 24 ore su 24. 

È il pomeriggio di sabato 12 marzo e, mentre parcheggiamo nel piazzale, il sole sta per calare. La nostra spedizione, con personale e mezzi della Fondazione Paideia, della Cooperativa Pausa Café e dell’Associazione Accomazzi è partita il giorno prima con l’obiettivo di supportare le donne e i bambini in fuga. Una missione di ricognizione dei bisogni delle popolazioni sfollate e una risposta all’appello di don Volodymyr Moshchych, sacerdote ucraino e cappellano dell’ospedale infantile di Leopoli, che ha individuato alcune persone con disabilità da evacuare insieme ai familiari.

L’impatto con il Centro di Przemyśl è fortissimo. Sul piazzale centinaia di scatoloni di vestiti sono a disposizione dei profughi, mentre volontari con cucine mobili preparano pasti gratis per tutti, senza fermarsi. La polizia, nel frattempo, coordina l’ingente movimento di mezzi che trasportano persone e aiuti. Entriamo nella struttura, dove è proibito fare foto. C’è un triage di registrazione che dà la possibilità ad autisti e mezzi provenienti da tutta Europa di segnare la propria disponibilità di posti. 

Dove c’erano i negozi – gioiellerie, abbigliamento, accessori per la casa – ora ci sono sale di attesa divise per destinazione, ognuna ha un numero e l’Italia è il 13. Su un cartellone appeso al muro c’è una piantina disegnata a mano, per orientarsi. Quando arriviamo di fronte al 13, scopriamo che non è lo spazio di un negozio, ma dell’ex ipermercato dentro il centro commerciale. Oggi è un gigantesco dormitorio, con centinaia di brandine sistemate al posto degli scaffali. Quello che colpisce è il silenzio, nonostante la quantità di persone presenti, qualche anziano ma soprattutto bimbi e donne. Tante sono coricate e cercano di riposare, altre sono al telefono. Alle prese elettriche sono attaccate decine di caricabatterie, in un groviglio di fili. 

La nostra Ucraina, con i bambini e le mamme in fuga dalla guerra

La nostra missione entra nel vivo all’alba di domenica, quando ci dirigiamo verso la frontiera tra Polonia e Ucraina. Lungo la strada superiamo un convoglio di fuoristrada delle Nazioni Unite: sono diretti, come noi, verso il confine. Quando iniziamo la breve coda per la frontiera, dall’Italia ci avvisano di un attacco appena avvenuto. La base di Yavoriv, a 20 chilometri dal confine polacco e a circa 40 da noi in linea d’aria, è stata colpita dai bombardamenti. Cerchiamo di rassicurare chi è distante e non può vedere con i nostri occhi: la situazione è tranquilla, nonostante tutto. Dopo pochi metri il controllo passaporto, un timbro e l’ingresso in Ucraina. La guerra, che per noi fino a qualche giorno fa era in tv, ora è qui. É negli occhi delle donne soldato rimaste a presidiare la frontiera, nel nervosismo del militare di guardia, che ci fa segno di passare rapidamente.

Don Volodymyr ci aspetta poche centinaia di metri oltre il confine, in un piazzale dove trasferiamo dai nostri due furgoni i medicinali e il materiale sanitario destinato a Leopoli. Ci capiamo bene: lui ha studiato a Roma e parla italiano, ci racconta che anche la notte precedente ci sono stati bombardamenti sulla città. Registriamo un video in cui ringrazia tutti gli amici italiani che sono vicini in questo momento difficile. E poi ci dice “vi aspetto, quando tutto sarà finito.” Con le lacrime agli occhi iniziamo il nostro viaggio di ritorno verso il confine polacco, mentre lui tornerà a Leopoli. Che non è più, come qualche giorno fa, il rifugio sicuro di chi è scappato da Est, ma la città in cui morte e devastazione sono ogni giorno più vicine.

Il nostro compito, ora, è trovare le persone in fuga dalla guerra che porteremo in Italia. Così, dopo ore di coda al confine, riusciamo ad arrivare al campo base di Medyka. Qui i profughi che passano il confine a piedi, dopo un cammino di chilometri, escono da un cancello che li porta in Europa. Ci sono quasi soltanto donne e bambini, gli uomini adulti sono obbligati a restare in Ucraina. Alcuni bimbi piangono, stremati dalla camminata. Le mamme portano zaini pesanti e borse, si avvicinano i volontari con carrelli della spesa per aiutare. Una è Asha, una scout di 16 anni. Ci racconta che fanno turni di dodici ore e poi si danno il cambio.

Intorno a noi c’è l’abbraccio del mondo intero. Volontari provenienti da ogni parte offrono acqua e cibo, con fornelli da campo e scorte, ma anche assistenza medica e spazi di riposo per chi vuole fermarsi. Poco distante, un pianista suona davanti a un cumulo di vestiti. Noi abbiamo dei cartelli di cartone e stiamo cercando la famiglia di Dmytro, che ha tre anni e la sindrome di Angelman. Tramite don Volodymyr riusciamo a sentirci al telefono e finalmente ci conosciamo. Con Dmytro c’è sua sorella Mariia, sua mamma Olena e sua zia Oksana. Poi troviamo l’altra ragazza con disabilità che ci aveva segnalato don Volodymyr: è Malvina, molto affaticata perché ha le stampelle – ci racconterà che ha subìto cinque operazioni – e ha camminato per molto tempo. Con lei c’è Aleksandra, che si è offerta per accompagnarla in Italia e starle accanto. 

Abbiamo ancora posti sui mezzi. Così con Aleksandra, che parla sia ucraino che inglese, ci avventuriamo alla ricerca di qualcuno che possa avere bisogno. Chiede ad alcune mamme sole, con bambini piccoli, se vogliono venire in Italia. Alcune persone hanno già una destinazione, altre sono diffidenti. Poi troviamo una ragazza, insieme a lei c’è una bambina con la giacca rosa. La reazione non è come le altre, sembra interessata. Quando scopre che siamo diretti a Torino, è incredula: lei si chiama Anastasia, è un’artista circense ed è in contatto con una persona che le ha prospettato una possibilità di lavorare proprio in Piemonte. Chiama suo marito e lo avvisa, lui verifica il nostro numero di telefono, le foto sul nostro sito della partenza della missione per sapere chi siamo. Se le altre persone hanno la connessione con don Volodymyr, lei sta per salire con la sua bimba su un furgone insieme a degli sconosciuti. Ma accetta, e si parte.

Quando Anastasia sorride per la prima volta, il giorno dopo, siamo quasi al confine con la Repubblica Ceca. La sua bimba, Alisa, ha 4 anni e riposa sul seggiolino di fianco a lei. “Non dormivo da tre giorni” dice. Lei, artista circense e insegnante di tessuti, questa settimana avrebbe dovuto partecipare ai campionati nazionali con una sua allieva. “But… War”, spiega allargando le braccia. Anche se il confine con l’Ucraina e la guerra sono ogni chilometro più lontane, i suoi pensieri sono là. “Mio marito è dovuto rimanere in città, a Sumy. Mi ha detto al telefono che questa notte non ha dormito per i bombardamenti.”

Facciamo una sosta e ci ritroviamo tutti a tavola. Siamo un’unica famiglia, adesso. Quando raccontiamo che molte persone si stanno preoccupando per loro, che ci scrivono messaggi e hanno fatto tante donazioni, i loro occhi si riempiono di gratitudine. Risaliamo sul furgone per riprendere il viaggio. Alisa prova a nascondersi, ha voglia di giocare, mentre Anastasia ci offre dei cioccolatini che ha portato con sé. 

È il pomeriggio di martedì quando rientriamo a Torino, dopo più di 3200 chilometri in cinque giorni. Nel frattempo, in ufficio, i colleghi hanno lavorato per organizzare l’accoglienza: le famiglie saranno ospiti presso alcune strutture di Paideia e garantiremo tutto il supporto di cui hanno bisogno in questo momento. Ci salutiamo e Alisa ci regala un fiore trovato nel giardino dell’autogrill. È un Dente di Leone, il primo fiore di primavera.

Grazie a tutti quelli che in questi giorni ci hanno fatto sentire la loro vicinanza in tutti i modi possibili. 

Con il lavoro congiunto di Paideia, Pausa Café e Associazione Accomazzi sono state salvate 22 persone. Per tutti coloro che desiderano sostenere le attività di accoglienza e sostegno per i bambini e le famiglie in fuga dai territori di guerra – nei prossimi giorni arriveranno a Torino altre famiglie con bambini con disabilità – è possibile donare online sulla pagina dedicata

https://dona.fondazionepaideia.it/emergenza-ucraina/

con carta di credito, paypal e satispay oppure con bonifico bancario intestato a:

Fondazione Paideia Onlus

IBAN: IT03M0200801046000101322993

Causale: Emergenza Ucraina + tuo codice fiscale

Grazie di cuore!