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“Vi racconto il mio primo anno in Paideia, accanto alle famiglie nell’emergenza”

Il mio arrivo in Paideia? Direi molto diverso da come me l’ero immaginato. Ho sostenuto i colloqui tra gennaio e febbraio 2020, ero pronta ad entrare in ufficio nel mese di marzo. Ma al momento di iniziare ci siamo ritrovati tutti a casa, a distanza”. Marianna è l’ultima arrivata tra le operatrici sociali che ogni giorno in Paideia lavorano a contatto con i bambini con disabilità e le loro famiglie. L’allargamento dello staff, legato alla crescita di richieste di supporto (con famiglie seguite passate dalle 361 del 2018 alle 590 del 2019) è coinciso con il lockdown e un avvio diverso da come era stato programmato.

É stato un inizio particolare, ma mi sono subito sentita parte del gruppo ed è stato bello poter fare subito la mia parte in un momento così importante”. Marianna fa parte dello staff di accoglienza e sostegno, che incontra i genitori e raccoglie i primi bisogni per poter strutturare un percorso su misura di ogni famiglia. Un’attività di supporto che nel 2021 fa i conti con un’emergenza sanitaria e le sue conseguenze. “Oggi sentiamo tanta stanchezza da parte delle famiglie, è una cosa che sperimentiamo ogni giorno. Nel corso di quest’anno sono venuti a mancare punti di riferimento importanti, sia nel servizio pubblico che ha subito riorganizzazioni dovute alla pandemia, sia per quanto riguarda altre opportunità, soprattutto dal punto di vista della socializzazione”. 

Tra le difficoltà che l’emergenza sanitaria comporta per i bambini con disabilità e le loro famiglie, anche un tema molto delicato: le diagnosi a distanza. “Nel corso di quest’anno abbiamo incontrato molte famiglie che hanno ricevuto le diagnosi tramite mail, soprattutto nel periodo di lockdown. Non erano pronti a leggere cosa c’era scritto, quindi con loro abbiamo lavorato soprattutto sull’accompagnamento alla diagnosi, su attività di sostegno psicologico mirato e sul confronto in materia legislativa e previdenziale, per rendere i genitori più consapevoli dei loro diritti”.

Nel corso degli ultimi mesi sono aumentate le richieste di supporto, con un accento sul sostegno economico straordinario. “Abbiamo individuato alcune situazioni in cui risultano evidenti le necessità dal punto di vista economico, spesso per spese abitative o arretrati. C’è stato un periodo in cui i padroni di casa erano stati più comprensivi, magari nel lockdown, ma oggi è diverso. Ci sono situazioni molto difficili, con redditi ridotti al minimo e situazioni di instabilità già esistenti pre-emergenza che si sono maggiormente aggravate, ma anche un fronte di nuovi bisogni in cui troviamo famiglie che fino ad oggi non avevano necessità di questo tipo. Penso ad esempio a genitori impegnati nel settore del turismo, della ristorazione, degli eventi. Oggi si aggiungono a chi si trovava già in condizioni di fragilità”.

Tra gli strumenti che è possibile attivare uno dei più preziosi in questo momento riguarda i percorsi di sostegno psicologico. “La cosa che io sento tantissimo in questo momento, nei colloqui che faccio ogni giorno, è la solitudine. Ci sono spaccati diversi rispetto alle famiglie che incontro per l’accoglienza e che cominciano percorsi con noi, ma questo risulta evidente soprattutto nelle famiglie con un solo genitore, spesso le mamme sole, che magari sono straniere e faticano davvero tanto. Arrivano raccontando di sentirsi abbandonate da tutti”.

Ma Marianna intercetta anche molte storie di gratitudine. “Penso a una famiglia arrivata in un momento particolarmente critico, avevano appena finito indagini genetiche e diagnosi, erano molto affaticati e provati. La loro bimba ha cominciato a fare attività di terapia con noi, il papà ha iniziato un percorso psicologico e oggi è bello vedere che hanno voglia di condividere i piccoli progressi e le conquiste di ogni giorno. In un periodo di grande incertezza, in cui non avevano neppure mai sentito la sindrome diagnosticata alla loro bimba, si sono sentiti supportati e oggi raccontano tutta la gratitudine di questa porta che si è aperta. Vorrei che questo ‘grazie’ arrivasse a ognuno dei donatori che sostiene i bambini e le loro le famiglie”.

Una delle cose più belle che ho scoperto in questo primo anno – conclude Marianna – è che non sono le famiglie che si adattano ai servizi che abbiamo, ma siamo noi che andiamo incontro ai bisogni che loro portano. Cerchiamo di fare tutto il possibile anche cambiando quel che avevamo, senza dare nulla per scontato, per costruire un servizio su misura dei loro bisogni. E loro restituiscono tutta la vicinanza offerta, che diventa accoglienza e cura reciproca”.