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“Sono state Paralimpiadi straordinarie”. Elena Grosso, responsabile delle attività sportive di Paideia, non usa mezzi termini quando le chiediamo di raccontarci la sua partecipazione come membro dello staff tecnico per il nuoto paralimpico alle Paralimpiadi giapponesi, un’edizione memorabile per tantissimi motivi. “Dal punto di vista dei risultati – spiega Elena – le 69 medaglie totali e le 39 nel nuoto paralimpico, che erano state 13 a Rio 2016, raccontano di un percorso importante di crescita, ma a livello personale devo ancora mettere un po’ a posto le emozioni di Tokyo perché sono state fortissime”.
“Forse – racconta – quel che mi ha emozionato è un po’ diverso da quel che ha colpito il pubblico a casa. Il tecnico di nuoto paralimpico ha un ruolo attivo durante la gara, facendo il tapper – la persona che segnala l’atleta non vedente in fase di arrivo e di virata – o l’assistenza alla partenza di atleti con disabilità motoria grave. Perciò ci sono regole precise: non puoi parlare con l’atleta né incitarlo, sei concentrato soltanto su quel che devi fare per mettere l’atleta in condizione di dare il meglio, perché la sua prestazione dipende dalle tue segnalazioni. Un’emozione fortissima è stata entrare nel villaggio il primo giorno e varcare le porte dell’Aquatics Centre, con un enorme silenzio e la consapevolezza di dire “ci siamo, finalmente, è tutto vero!”.
Una Paralimpiade vissuta in una ‘bolla’ anti-Covid e senza pubblico, ma con momenti di straordinaria intensità. “Non c’era possibilità di uscire dalle strutture e di avere contatti, anche il personale di servizio era in ‘bolla’ per poter lavorare e facevamo un tampone ogni mattina. Forse rispetto ai colleghi che hanno vissuto Rio è mancato il fragore del piano vasca con il pubblico, ma il poter partecipare alla Paralimpiade con tutte le vicissitudini di quest’anno è stato comunque un regalo, un’edizione diversa ma unica. E abbiamo trovato gente ad aspettarci per strada con cartelli con frasi bellissime, come ‘gli atleti portano gioia e speranza al mondo intero’. Significa che qualcuno quel giorno è uscito di casa, si è piazzato a un semaforo scrivendo cose meravigliose in inglese, per farlo sapere agli atleti. Una cosa diversa dalle medaglie, ma il viaggio che ho vissuto è stato anche quello, al culmine di un percorso che in questi anni – passando per Dublino 2018, Londra 2019, Funchal 2020 – mi ha permesso di imparare tantissimo”.
“Ero una che quando c’è stata Londra 2012 prendeva una settimana di ferie, guardando tutte le gare. Dopo quell’edizione mi sono iscritta a corsi di formazione tenuti dallo staff nazionale e nel 2016 mi è stato chiesto di iniziare a collaborare con la Federazione. Quando nel 2012 sono davanti alla tv e vedo Federica Fornasiero fare tapper insieme a un altro tecnico ricordo di aver pensato ‘è troppo difficile, non lo potrei mai fare’. Nove anni dopo sono lì con lei e quasi non ci credo. Per una persona, che sia un tecnico o un atleta, andare alle Paralimpiadi è un sogno talmente grande da non essere nemmeno un sogno, è come quando un bambino dice che vuole fare l’astronauta”.
“All’aeroporto – conclude Elena – delle persone ci hanno fermato e ci hanno detto ‘vi abbiamo visto in tv’. Cambia un po’ il modo di percepire la disabilità, di pensare alla disabilità come a persone che possono fare un sacco di cose. Non vedo l’ora di vedere l’effetto che farà tutto questo, se si tradurrà in una maggiore partecipazione e voglia di fare sport, sinceramente spero che si traduca in una maggiore attenzione da parte delle istituzioni e maggiore voglia delle società sportive di confrontarsi con il paralimpico. E che possa portare maggiore partecipazione e voglia di fare sport per le persone con disabilità e in particolare per i bambini”.
© foto di Simone Ferraro / Bizzi Team / Cip