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“Posso iniziare dicendo una cosa che forse non tutti sanno? Nella stanza di logopedia si gioca tantissimo!”
Abbiamo chiesto a Fabia, che da 4 anni è tra le logopediste impegnate ogni giorno al Centro Paideia, di raccontarci qualcosa del suo lavoro quotidiano a fianco dei bambini con disabilità.
“In Paideia noi logopedisti ci impegniamo a seguire bambini che possono avere disturbi del linguaggio, difficoltà comunicative e difficoltà relazionali. Durante le sedute il gioco – spiega Fabia – sembra un po’ essere la nostra occupazione principale: in realtà dietro ogni attività che viene proposta, anche ludica, c’è sempre uno spunto, un ragionamento, qualcosa che desideriamo il bambino impari o riesca a fare da solo. Quindi attraverso il gioco, ma non solo, cerchiamo di raggiungere degli obiettivi.”
E gli obiettivi, per i bambini con disabilità seguiti in Paideia, sono soprattutto di tipo comunicativo. “Imparare a fare una richiesta, per esempio. Può essere attraverso il canale verbale, oppure attraverso l’uso dei gesti, delle immagini. Accompagniamo i bimbi nell’imparare a sostenere una conversazione, a fare domande all’interlocutore, ad arricchire il proprio linguaggio attraverso attività sul discorso e la conversazione.”
Una delle prime bambine seguite da Fabia è stata Beatrice, la cui storia poco tempo fa ci ha raccontato sua mamma Chiara.
“L’ho conosciuta quando aveva due anni, era una bimba ricciola e super energica già allora, molto solare, con una gran voglia di relazionarsi. Una delle sue fatiche era quella di riuscire a coordinare i movimenti per articolare frasi e discorsi, noi abbiamo lavorato sulle abilità espressive e ho visto una bambina che è cresciuta tantissimo, anche dal punto di vista del bagaglio lessicale, grazie alla sua passione per i libri e le storie. Bea è una bambina molto curiosa! Attualmente ha iniziato la scuola primaria e stiamo affrontando insieme nuove sfide, che variano nei diversi momenti della crescita.”
Il lavoro di logopedista, come spiega Fabia, porta a crescere sotto tanti punti di vista. “Sento che ogni giorno per me è fonte di arricchimento e miglioramento personale. C’è la parte di relazione col bambino che mi dà sempre un rimando non solo su come è il bambino, ma anche su come sono io in relazione a lui. E la stessa cosa vale per i rapporti con le famiglie: riesco a conoscermi sempre meglio. E poi è un lavoro che a piccoli passi dà tante soddisfazioni, mi ha fatto imparare a godere dei piccoli risultati raggiunti.”
Ogni terapista che lavora in Paideia, come Fabia, è inserito all’interno di una equipe formata da altri professionisti. “La prima cosa che mi è piaciuta tantissimo, appena ho iniziato, è stato il lavoro di squadra. Questo significa non sentirmi mai sola, anche di fronte a situazioni magari complesse, ma avere qualcuno su cui appoggiarmi, qualcuno con cui confrontarmi. L’altra sensazione che ho avuto iniziando a lavorare in Paideia è che l’attività di riabilitazione è una parte che va considerata nel progetto più ampio di ogni bambino o bambina e della sua famiglia. Si tratta di un approccio che considera non soltanto la sfera riabilitativa, ma anche l’aspetto ludico, ricreativo, relazionale, il punto di vista dei genitori, dei fratelli, dei nonni. Per me è stato importante sentirmi parte di un progetto che guarda a 360 gradi verso i bisogni delle famiglie, che oltre al supporto diretto possono beneficiare della relazione con altre famiglie con figli con disabilità. Per i bambini ci sono moltissime opportunità, è un posto dove stanno bene e questo si vede quando entrano in Paideia”.
Una cosa importante imparata in questi anni? Fabia non ha dubbi: “aspettare. Perché una delle difficoltà più grosse è quando magari per un certo periodo di tempo si faticano a vedere dei risultati. Per me è stata una cosa su cui ho dovuto lavorare tanto: aspettare e rispettare i tempi di ogni bambino. A volte ci aspettiamo dei cambiamenti rapidi, veloci, e questo soprattutto lavorando con i bambini non è quasi mai possibile. Mi viene in mente Alessandro, un bambino che non comunica attraverso il linguaggio verbale e con cui abbiamo lavorato attraverso l’utilizzo delle immagini. Inizialmente non sembrava considerarle un canale utile per la comunicazione, ma dopo sei mesi ha iniziato a indicare le immagini per dire delle cose e oggi sono il mezzo attraverso il quale riesce a esprimere i suoi bisogni: mangiare, bere, andare in bagno. Mi ha insegnato che a volte può volerci molto tempo, ma che ogni semino può dare un frutto. E che la capacità di aspettare, di mettersi in attesa, può portare a soddisfazioni enormi.”